lunedì 14 luglio 2008

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San Giovanni apostolo ed evangelista (BetsaidaEfeso, 104) è stato un apostolo ed è tradizionalmente identificato come l’autore del Vangelo di Giovanni, delle tre Lettere di Giovanni e della Apocalisse, facenti parte del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana.

Figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo il Maggiore, discepolo di Giovanni Battista, sarebbe stato tra i primi a passare al seguito di Gesù Cristo.

Normalmente si ritiene che la designazione de il discepolo che Gesù amava, che incontriamo varie volte nel quarto vangelo, indichi l’autore dello stesso.

Secondo la tradizione cristiana, durante l’ultima cena posò il capo sul petto di Cristo. Testimone della trasfigurazione e dell’agonia del Signore, era presente ai piedi della croce, dove Gesù gli affidò sua madre Maria. Insieme a Pietro vide il sepolcro vuoto e credette nella resurrezione del Signore.

Giovanni sarebbe morto in tarda età, centenario, ad Efeso, ultimo sopravvissuto dei dodici apostoli.

È noto anche come Giovanni il teologo, specie presso alcune confessioni ortodosse e in ambienti gnostici. Origene (185-253) fu il primo a designare Giovanni, ultimo testimone degli eventi legati al Nazareno, con questo titolo, per la profondità teologica del suo Vangelo.

Chiamato fin da tempi remoti con l’appellativo di Aquila spirituale, San Giovanni Evangelista viene rappresentato in molti luoghi di culto con il simbolo dell’aquila.

Se ne celebra la festa il 27 dicembre.

Il percorso evolutivo di Giovanni

Giovanni di Zebedeo

Giovanni nasce secondo la tradizione a Betsaida di Galilea (nel nord della Palestina), località situata sulle sponde del lago di Genezareth detto anche Mar di Galilea. Betsaida significa “casa della pesca”. Figlio di Zebedeo e di Salomè, si dedica alla pesca come suo padre che non sembra, a detta dei Vangeli, essere stato un semplice pescatore ma un vero e proprio imprenditore della pesca in quanto aveva alle sue dipendenze delle maestranze. Nei vangeli capita talvolta di incontrare un riferimento ai “figli di Zebedeo” e cioè a Giovanni e Giacomo.

Giovanni discepolo del Battista

Giovanni avrebbe incontrato Gesù quando già era uno dei discepoli di un maestro delle scritture, Giovanni il Battista, precursore e profeta di Gesù, imparentato, stando alle fonti cristiane, con lo stesso Gesù essendo Elisabetta, madre di Giovanni, parente di Maria, la madre di Gesù.

Il Battista indicò Gesù con queste parole: “Ecco l’agnello di Dio”, dopodiché fu lo stesso Giovanni il Battista a spingere i suoi due discepoli a lasciarlo per poter seguire il nuovo maestro.

Presumibilmente doveva avere intorno ai venti anni quando avvenne questo incontro. (San Girolamo, “De Viris Illustribus”).

” Il giorno seguente, Giovanni il Battista di nuovo stava là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: “Ecco l’agnello di Dio”. I due discepoli udirono queste parole e seguirono Gesù. Si volse allora Gesù, e vedendo che lo seguivano, domandò loro: “Che cercate ?”. Ed essi gli risposero: “Rabbi (che tradotto significa Maestro), dove abiti?”. Rispose: “Venite e vedrete”. Andarono infatti e videro dove abitava; e quel giorno rimasero con lui. Era circa l’ora decima. Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due, che, udite le parole di Giovanni, avevano seguito Gesù. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia”. “

(Giovanni 1,35-40)

Tutto questo accadeva vicino a Betania sul Giordano.

Giovanni Apostolo

Giovanni e Andrea fratello di Pietro (anch’egli in quel tempo sarebbe stato discepolo del Battista) furono i primi due apostoli del maestro di Nazaret.

Gesù iniziava allora a diffondere il suo insegnamento, che, secondo alcune recenti ipotesi, risentiva anche della visione dell’ebraismo propria degli esseni nome che in ebraico significa “i medici”, “i terapeuti”.
Questo riferimento agli esseni che talune ricerche contemporanee sembrano avallare per altre non risulta necessario per spiegare la formazione del pensiero ebraico non-ortodosso di Gesù. Questo va detto perché questa tesi è comunque una ipotesi suffragata da ampia documentazione ma ovviamente va detto altresì che l’ipotesi dell’influenza diretta o anche semplicemente indiretta dell’ebraismo radicale degli esseni sul nuovo ebraismo anch’esso in aperta rottura con l’ebraismo tradizionale proprio di Gesù non trova affatto concordi tutti gli studiosi in materia. Su questo punto è nata quindi una “querelle” tra gli studiosi delle origini del cristianesimo che è tutt’ora in corso.
Subito dopo, secondo le fonti cristiane, si aggiunsero a questi primi due apostoli rispettivamente Simon Pietro fratello di Andrea e Giacomo fratello di Giovanni. In seguito i due figli di Zebedeo vennero soprannominati per la loro impetuosità “i figli del tuono” dallo stesso Rabbi Gesù.
Giovanni viene descritto dai Vangeli di carattere risoluto (Marco 3,17; Luca 9,54), e non alieno da ambizioni (Marco 10, 35-37); le fonti ci dicono che era il più giovane fra i discepoli.

L’equivoco sul “Regno del Figlio dell’Uomo” e l’azione chiarificatrice di Giovanni

Quando ancora non era chiaro il significato dell’azione di Gesù, tanto da dar adito a equivoci sul suo conto (vedi in seguito la vicenda del traditore Giuda Iscariota sentitosi lui stesso tradito nelle sue aspettative dal Messia e liberatore di Israele Gesù), i due fratelli, Giacomo e Giovanni, o, secondo altre versioni, la loro madre, Salomé, si rivolsero a Gesù chiedendo per tutti e due la nomina a ministri una volta instaurato il suo nuovo regno.

Alla richiesta si dice che Gesù abbia risposto: “Voi non sapete che cosa domandate.”
Questo farebbe pensare che Gesù era vissuto dalla cerchia dei suoi discepoli non solo ma sicuramente anche come una sorta di guida in senso politico, invece proprio Giovanni si rivelerà in seguito colui che più di ogni altro, anche tra quelli più intimi del maestro, avrà capito il vero senso di questo nuovo regno: il “Regno del Figlio dell’Uomo” opponendosi ad ogni sorta di interpretazione mondana della figura della persona di Gesù pur mantenendosi radicalmente fedele alla concezione di Dio quale vero uomo anche in funzione antignostica i quali invece trasportati anche dalla polemica nel loro tentativo di combattere quelle che loro definivano le rozze concezioni cristiane della Grande Chiesa che aveva fatto scempio del pensiero aristocratico del Rabbi di Nazareth continuavano a mantenere separati e in una contraddizione irriducibile lo spirito e la materia.

Giovanni apostolo coraggioso

Le scritture cristiane ci dicono che Giovanni non abbandonò mai il maestro nemmeno nell’ora ultima delle persecuzioni tanto da essere presente sotto la croce dove concluse i suoi 33 anni nel mondo, oltre alla madre di Gesù, Maria, a Maria Maddalena e alla sua stessa madre Salomé, ciò che ha fatto dire ad alcune discepole di Gesù dei millenni seguenti che le “apostole” dimostrarono di avere più coraggio degli stessi apostoli nominati ufficialmente quali “apostoli” da Gesù stesso, sennonché c’è un’eccezione: Giovanni appunto che stette accanto al maestro e amico fino alla fine.

Dopo la morte di Gesù si sarebbe stabilito a Gerusalemme con gli altri della comunità dei nazareni, come venivano chiamati dagli altri professanti la religione ebraica e considerati come una semplice setta dell’ebraismo.

Avvennero di lì a poco, secondo le fonti neotestamentarie, la resurrezione e l’ascensione del loro maestro.

Segue poco dopo quell’altro avvenimento straordinario per questa comunità che viene chiamato come l’evento della Pentecoste.

Giovanni apostolo autorevole della Chiesa di Gerusalemme

Già prima della crocefissione del “Rabbi” gli apostoli più vicini al maestro e quindi più intimi erano sempre stati Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni. In particolare quest’ultimo verrebbe chiamato in alcuni testi del Nuovo Testamento il prediletto del Signore (Giovanni 13,23; 19,26, 20,2; 21,7).
Paolo di Tarso racconta che dopo la morte del maestro, le colonne della chiesa di Gerusalemme sarebbero stati appunto questi quattro apostoli.
Dopo la Pentecoste Giovanni è sempre a Gerusalemme e dagli Atti degli apostoli risulta come una delle figure più autorevoli della Chiesa nascente ed è nominato subito dopo Pietro (Atti 3, 1-11; 4, 13-19; 8, 14), quando tra il 36 e il 38 ci sarebbe stata una prima ondata di persecuzioni. Gli scritti cristiani ci dicono che in quella occasione Pietro e Giovanni vennero incarcerati e flagellati, in quanto agli occhi delle autorità civili sarebbero stati ritenuti i principali responsabili della comunità.
Dopo le persecuzioni subite a Gerusalemme, Giovanni si recò, stando alle scritture, con Pietro in Samaria, dove avrebbe svolto un’intensa opera di evangelizzazione (Atti 8, 14-15).
Le fonti cristiane ci parlano di una seconda ondata di persecuzioni. Pietro lascia Gerusalemme e la guida della comunità passa a Giacomo il Minore, mentre nel 44 Giacomo di Zebedeo (detto anche Giacomo il Maggiore) fratello di Giovanni subisce il martirio.

Giovanni e Maria

Giovanni rimarrà ancora a Gerusalemme dove condividerà la storia di questa comunità sino a che il rinnovarsi e l’intensificarsi delle persecuzioni lo costringeranno a stabilirsi, insieme a Maria, a Mileto, dove era presente una comunità di nazareni.

Alcuni anni prima, nel 52, a Efeso, dove era una importante comunità ebraica, era giunto Paolo di Tarso, primo missionario della buona novella, e qui si era stabilito per circa tre anni. Partito poi da qui, vi lasciò i coniugi Aquila e Priscilla che proseguirono il lavoro da lui iniziato nell’evangelizzare la città e la regione intera (Atti degli Apostoli). A questo primo viaggio di Paolo fece seguito un suo secondo ed ultimo viaggio in questa città, dopodiché si avviò verso l’ultima tappa della sua opera di missionario, Roma, dove secondo la tradizione cattolica già era Pietro; affidò quindi la comunità a Timoteo suo discepolo di lunga data (lettere di Paolo a Timoteo). Nel periodo in cui Timoteo guidò la comunità cristiana di Efeso si fecero conoscere come valenti evangelizzatori anche Onesiforo e Tichico.

Dopo la morte di Timoteo vescovo di Efeso, Giovanni si trovò ad ereditare tutto il lavoro svolto nella chiesa di Efeso da Paolo e dai suoi collaboratori. Giovanni infatti, sembra anche a seguito di una visione in cui lo stesso Gesù gli apparve, partì da Mileto dove altrimenti forse sarebbe rimasto per il resto della sua vita e cominciò a governare la chiesa di Efeso e le altre comunità cristiane dell’Asia Minore.

Recandosi a Efeso, portò con sé Maria, poiché gli era stata affidata dallo stesso Gesù nel momento del suo commiato dalla Terra. Similmente il suo apostolo prediletto era stato affidato da questi a Maria perché Giovanni prendesse il suo posto nel cuore di Lei:

“Ai piedi della croce di Gesù stavano la madre e la sorella della madre, Maria moglie di Cleofa, e Maria Maddalena. Gesù, vedendo la madre e, vicino a lei, il discepolo prediletto, disse alla madre: - Donna, ecco tuo figlio! - E al discepolo: - Ecco tua madre! - E da quel momento il discepolo l’accolse nella sua casa.”

(Giovanni 19, 25-27)

Origene fu il primo a dare una interpretazione diversa della frase Questa è tua madre.
Nel Commentario al vangelo di Giovanni scritto nel 230 e che gli era stato commissionato da Ambrogio l’Alessandrino dà una lettura di questa scena secondo cui questo gesto di Gesù trascende la semplice pietà filiale e realizza la maternità spirituale di Maria quale nuova Eva, verso tutti gli uomini, divenuti per la fede fratelli di Cristo. È ovvio che sia il significato letterale che quello più simobolico non si escludono affatto a vicenda, ma che anzi entrambi si rafforzano l’un l’altro.

Ricerche archeologiche condotte alla fine del secolo scorso, sulla base delle visioni della stigmatizzata monaca agostiniana Anna Katharina Emmerick (1774 - 1824), hanno permesso il ritrovamento a circa 9 Km a sud di Efeso della casa dove la tradizione dice che abitò e morì Maria.

Arresto a Roma e residenza a Patmos

Giovanni giunse nella città di Efeso che contava allora circa 200 mila abitanti. Questi basavano la loro economia vivendo del commercio e del traffico portuale. In questa grande città l’apostolo svolse la sua opera di evangelizzatore e di guida delle comunità tutte dell’Asia Minore che facevano riferimento a lui quale testimone, come amava definirsi.

Giovanni era il vero catalizzatore di queste comunità e il pensiero a cui ha posto il suo nome come firma è comunque anche il pensiero che dalla viva esperienza di vita di queste primitive comunità cristiane dell’Asia Minore è nato e maturato. Tuttavia non bisogna pensare alle comunità giovannee come comunità omogenee. Norman Brown nel suo commentario alle lettere giovannee ci spiega che il gruppo giovanneo in realtà non era un gruppo omogeneo e compatto, prova ne sia che tra i discepoli dell’ormai anziano Giovanni vi erano alcuni che impazienti avevano maturato il proposito ch’era giunto il momento di considerarsi altro dalla “Grande Chiesa”. Costoro venivano indicati come i giovannei secessionisti i quali non potevano più sopportare una unità delle chiese ch’era solo di nome e non di sostanza sì che volevano far chiarezza rescindendo ogni sorta di legame simbiotico con la “Grande Chiesa” come allora veniva denominata e chiamandosi fuori come comunità giovannea da ogni possibile fraintendimento o equivoco sulla vera natura delle comunità che intorno alla figura di Giovanni si erano coagulate.

Accadde però che nell’anno 89 si scatena una nuova ondata di persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell’imperatore Domiziano. Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte (sul luogo venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo). Di lì a poco questa pena però verrà commutata in quella dell’esilio nell’isola di Patmos, dove Giovanni soggiornò a lungo. In ricordo di ciò all’apostolo Giovanni sarà dedicata la cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano.

A Patmos Giovanni riuscì a convertire quasi tutta l’isola. Durante la sua permanenza a Patmos acquisì il titolo di Giovanni il veggente: fu infatti a Patmos che dettò ai suoi discepoli le visioni che ebbe sulla fine del mondo e il trionfo del regno del figlio dell’uomo che costituiranno il nucleo di quel libro, l’Apocalisse che chiude la serie dei libri che costituiscono la Bibbia cristiana.

Giovanni Evangelista

Dopo la morte dell’imperatore Domiziano nel 96, sotto l’imperatore Nerva, Giovanni fece ritorno a Efeso. Qui passò l’ultimo periodo della sua vita e morì in tardissima età.

Va menzionato che proprio nel finale del vangelo secondo Giovanni c’è un brano che ha dato molto da pensare lungo i secoli ai commentatori, agli esegeti e anche ai semplici lettori di questo scritto. Così infatti sta scritto:

” A questo punto Pietro si voltò, e si accorse che lo seguiva da vicino il discepolo prediletto da Gesù, quello che durante la cena aveva appoggiato il capo sul petto di lui, e aveva domandato: - Signore, chi è colui che ti tradirà? - Pietro, appena lo vide, disse a Gesù: - Signore, e di costui che avverrà? - E Gesù rispose: -Se io voglio che egli rimanga fino al mio ritorno, che importa a te? tu seguimi-. si diffuse così tra i seguaci la convinzione che quel discepolo non sarebbe morto. Ma Gesù non aveva detto: - Non morirà - ma: - Se io voglio che egli rimanga fino al mio ritorno, che importa a te? - “

(Giovanni 21,20-23)

In verità Giovanni, sia pure in tarda età, si dice intorno ai cento anni, è morto ad Efeso nel periodo in cui regnava l’imperatore Traiano (98-117).
La profezia di Gesù è talvolta spiegata con il fatto che Giovanni, nella visione che egli ebbe e che lui stesso poi raccontò scrivendo l’Apocalisse, ebbe comunque la possibilità di vedere il ritorno di Gesù nel Giudizio Finale prima di morire, pur trattandosi di un evento destinato a verificarsi, per il resto dell’umanità, molti secoli dopo. Sempre riguardo alla morte di Giovanni è stato tramandato un racconto secondo il quale fu Giovanni stesso che sentendo arrivare la sua ultima ora, nel giorno di Pasqua, si scavò una fossa dopodiché vi si sdraiò e così morì.

Eusebio di Cesarea riporta nella sua Storia Ecclesiatica (V,24) una lettera di Policrate, vescovo di Efeso verso il 190, in cui Giovanni è descritto come quello che si era chinato sul petto del Signore, il quale fu sacerdote, ha indossato la lamina e fu testimone e maestro e si addormentò a Efeso. Giovanni è descritto come sacerdote ebraico che addirittura indossò i paramenti del sommo sacerdote (anche se solo come sostituto). Questa informazione è stato oggetto di diverse interpretazioni.

All’ultimo periodo della sua vita terrena, trascorso nuovamente ad Efeso, risale invece l’elaborazione del Vangelo secondo Giovanni e delle tre lettere.

Per alcuni studiosi di Giovanni c’è una discrepanza tra l’ira del Giovanni di Patmos autore dell’Apocalisse e il Giovanni Evangelista autore di un vangelo dell’amore, tant’è che hanno ritenuto che fossero scritti da due autori diversi.

Per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni, Sant’Ireneo di Lione vescovo di Lione fu il primo ad attribuire quel quarto vangelo che circolava nelle comunità dei nazareni all’apostolo Giovanni, infatti verso il 180 scrisse:

” Giovanni, il discepolo del Signore, colui che riposò sul suo petto (Gv. 13,3), ha pubblicato anche lui un Vangelo mentre dimorava ad Efeso in Asia. “

(Ireneo di Lione, Adversus Haereses, III,1,1)

Eusebio di Cesarea, che riporta questa notizia, ritiene che Ireneo si basasse sulle testimonianze di San Policarpo vescovo di Smirne (morto martire a Roma nel 155), il quale avrebbe conosciuto personalmente l’apostolo Giovanni essendone stato discepolo.
Questo ci è anche confermato da Ireneo medesimo, che nella sua lettera a Florino ricorda il suo incontro con Policarpo, ed il fatto che Policarpo raccontava della sua dimestichezza con Giovanni e con le altre persone che avevano visto il Signore (Historia Ecclesiastica V,20,4).
Ireneo ricorda anche che Policarpo fu eletto vescovo di Smirne dagli apostoli, e Tertulliano asserisce che egli fu fatto vescovo proprio da Giovanni.

Sempre a proposito del vangelo di Giovanni un altro documento risalente al 200 circa, il “Canone muratoriano”, afferma:

” Il quarto degli evangeli (è quello) di Giovanni, (uno) dei discepoli. Poiché i suoi condiscepoli e vescovi lo esortavano, disse: “Digiunate con me per tre giorni da oggi e ci racconteremo a vicenda ciò che ad ognuno verrà rivelato”. In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, (uno) degli apostoli, che Giovanni doveva mettere tutto per iscritto in nome proprio, mentre tutti (lo) avrebbero esaminato. E perciò, sebbene diversi princìpi siano insegnati nei singoli libri dei vangeli, ciò non costituisce però una differenza per la fede dei credenti, essendo tutte le cose spiegate dall’unico e normativo Spirito: ciò che riguarda nascita, passione, risurrezione, vita sociale con i suoi discepoli, la duplice venuta, dapprima, disprezzato nell’umiltà, che è già avvenuto, la seconda volta, illustre, con potere regale, che deve (ancora) avvenire. Che c’è di strano, dunque, se Giovanni tanto costantemente presenta anche nelle sue lettere delle particolarità, dato che dice di sé stesso: “Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie e che le nostre mani hanno toccato, queste cose abbiamo scritto a voi” (1 Gv 1,1 ss.). Così non solo egli si professa testimone oculare ed auricolare, ma anche scrittore di tutte le cose mirabili del Signore, per ordine. “

Riportiamo ad ulteriore documentazione, per quel che può valere a far un po’ più di chiarezza su questo punto, un brano tratto da un testo risalente a non prima del IV - V secolo, gli “Atti di Giovanni del diacono Procoro”:

” Così mentre alla predicazione di Giovanni s’era convertita quasi tutta l’isola [di Patmos], avvenne la morte dell’imperatore che aveva ordinato il suo esilio e quello che gli succedette emanò il decreto di liberazione e di ritorno a Efeso.

Prima della partenza i fratelli lo supplicarono: “Maestro, se proprio sei deciso a salpare e a lasciarci orfani, metti almeno per scritto le cose meravigliose che hai visto compiere dal figlio di Dio e le parole che da lui hai udito, metti per scritto come ci dobbiamo comportare per vivere irreprensibili davanti a lui ed essere perseveranti di modo che nessun fratello sia negligente ritornando alla sequela del diavolo e divenendo sua esca.”
L’apostolo promise che avrebbe seguito l’ispirazione del Signore; e dopo il ritiro di tre giorni senza mangiare né bere, su di un monticello, mandò Procoro in città a prendere fogli di papiro e inchiostro, e al suo ritorno gli dettò il vangelo iniziando da: In principio c’era il Verbo… e proseguì a dettare per due giorni e sei ore.
Ritornati in città, andarono a casa di Sosipatro e Procliana ove, dopo un buon banchetto, ordinò a Sosipatro di prendere delle “pergamene belle” e di riscrivere accuratamente su di esse il vangelo; fece poi radunare i fratelli, ordinò a Procoro di leggere il vangelo, ne fece fare copie complete da distribuire a tutte le chiese, e lasciò nell’isola il testo su pergamena, ordinando di portare a Efeso quello originale sui fogli di papiro.

Compiuto un giro d’addio in tutta l’isola, e guarito un cieco, ritornarono in città: nella piazza centrale erano stati radunati tutti i fedeli, sia quelli di origine giudaica che quelli di origine greca, ai quali l’apostolo disse: “Figli, conservate le tradizioni avute da me, osservate i precetti di Cristo ricevuti per mezzo del vangelo, e sarete figli della luce. Ho deciso di andare nella città di Efeso per visitare quei fratelli”. “

Per precisione aggiungiamo che alcuni manoscritti dell’XI - XII e XIII secolo inseriscono qui, prima della partenza di Giovanni da Patmos per Efeso, il racconto della scrittura dell’Apocalisse riprendendo quello della scrittura del Vangelo; ma non vi è dubbio che il testo originale parlasse del vangelo soltanto e non dell’Apocalisse la cui posizione nel canone scritturale della chiesa greca era allora assai contestata; il cod. 35 del Patriarcato greco di Gerusalemme, risalente al XV secolo, conferma l’assenza della narrazione sull’Apocalisse.

Sullo stesso argomento così si esprime lo pseudo-Abdia:

” È certo che il beato Giovanni predicò il vangelo di Dio fino al termine della sua vita senza alcuno scritto.
Ma quando venne a conoscere i vangeli di Matteo, di Luca e di Marco ne approvò la fede e la veridicità dei detti. Constatò però che mancava qualcosa sopra tutto in riferimento al primo periodo della predicazione del Signore. Fu dunque pregato dai fratelli affinché scrivesse le opere che il Salvatore compì prima della cattura di Giovanni Battista, che quelli avevano omesso; ed egli acconsentì. Siccome Matteo e Luca ne avevano scritto la nascita secondo la carne, Giovanni non ne parlò, ma esordì dalla teologia, cioè dalla sua divinità iniziando con le parole: In principio c’era il Verbo. “

(pseudo-Abdia)

La querelle sull’attribuzione a Giovanni del quarto vangelo presto si placò per ritornare all’inizio del XIX secolo, quando si riaffacciò la cosiddetta «questione giovannea»: le obiezioni all’attribuzione del Vangelo all’apostolo Giovanni divennero allora numerose e ben argomentate.

Gli scritti di San Giovanni apostolo ed evangelista o comunque maturati e redatti negli ambienti giovannei di quell’epoca.

Gli scritti giovannei inclusi nel Nuovo Testamento

Vangelo di Giovanni Apocalisse di Giovanni Prima lettera di Giovanni Seconda lettera di Giovanni Terza lettera di Giovanni
Scritti scaturiti ed elaborati negli ambienti giovannei del tempo
Atti di Giovanni Apocrifo di Giovanni

La questione giovannea: la complessa vicenda editoriale degli scritti giovannei

Il testo più antico che ci è pervenuto del “Vangelo secondo Giovanni” è chiamato nel linguaggio degli addetti ai lavori “P52“, ovvero Papiro 52, ed è stato datato intorno all’anno 125, vale a dire a una trentina d’anni dall’originale, molto probabilmente.

Questo frammento di cm. 8,9 x 6 è chiamato anche Papiro di Rylands ed è uno dei più vecchi frammenti di papiro del Nuovo Testamento.
È stato ritrovato in Egitto ed è in forma di codice, scritto da ambo i lati e contiene Giovanni 18,31-33 e 37-38, ovvero un brano della Passione del vangelo giovanneo.
Attualmente è conservato presso la John Rylands Library di Manchester, Inghilterra.

Seguono il Papiro 66 risalente all’anno 200 o papiro Bodmer II conservato a Ginevra, il Papiro 45 e 75 del 250, il Codex Vaticanus del 300 e infine il Codex Sinaiticus del 350.

Per quanto riguarda invece l’Apocalisse il documento più antico che ci è pervenuto, il Papiro 47, risale all’anno 250. Seguono il Codex Vaticanus dell’anno 300 e il Codex Sinaiticus poco più recente del 350.

Degli “Atti di Giovanni” i più antichi documenti vengono datati al IV secolo. Fu redatto in greco. Non ne rimangono che i due terzi.

Le principali tematiche trattate nei testi giovannei

Il Logos che era in principio

La principale tematica trattata da Giovanni è senza alcun dubbio la sua originale concezione ebraico ellenistica del Messia identificato con il logos che per Giovanni è paragonabile a quell’archè che a partire da cinque secoli prima i fondatori della filosofia già trattarono prima di lui e che videro di volta in volta identificato nell’acqua (Talete), nell’apeiron (Anassimandro), l’aria (Anassimene), il fuoco o il logos nella concezione propria di Eraclito, il numero (Pitagora), il dio-tutto di Senofane o ancora l’Essere di Parmenide, l’amore e l’odio nella concezione propria di Anassagora, il movimento degli atomi in Democrito o infine il mondo delle idee di Platone.
Così Giovanni con questa sua originale concezione del Cristo costituisce anche un ponte tra due mondi culturali e civiltà diverse: quella ebraica e quella greca.
Con pochi tratti grazie alla sua estrema capacità di sintesi traccia la storia dell’intero universo a partire proprio dal logos che era in principio nel proverbiale prologo del suo vangelo.

E qui non manca di precisare che questo logos è quel messia già annunziato dagli antichi profeti di Israele, e questo messia è il cristo che senza rimanere nel vago chiama per così dire con nome e cognome: Gesù di Nazareth, più noto come maestro delle scritture di cui egli stesso è stato allievo, facente parte del suo entourage più stretto tra i numerosi apostoli e discepoli.
E ancora, allorché i suoi amici cristiani con un più marcato orientamento gnostico opteranno per una interpretazione più disincarnata e astratta del logos che era in principio egli ribadirà fermo e irremovibile contro questa concezione astratta la sua concezione del logos che era in principio fatto di corpo e sangue. Per Giovanni infatti il mistero dell’incarnazione del logos che era in principio non è un mistero in quanto anche lui in un certo senso come i moderni scienziati legati all’esperienza dei sensi dirà quasi omologandosi ad empirista radicale: non vi parlo di astrazioni ma di…“ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato”,…“la vita si è fatta visibile”. Io, Giovanni, il testimone (Prima lettera di Giovanni).

L’incarnazione del Logos che era in principio

Giovanni contro il cristianesimo troppo disincarnato degli gnostici

Sul fatto reale e concreto dell’incarnazione del logos che era in principio, Giovanni sarà sempre irremovibile quale punto fermo del suo insegnamento, ritenendola una questione di primaria importanza.

Benché sia sempre stato visto con interesse e alta considerazione negli ambienti cristiani definiti gnostici, tuttavia Giovanni non esiterà a polemizzare anche con essi ribadendo la sua posizione sulla questione dell’incarnazione del logos che era in principio: Gesù non solo come vero Dio ma anche come vero uomo.
Gli gnostici, pur ribadendo la divinità della persona Gesù tenevano in poco conto l’umanità di Gesù se non addirittura la negavano, giungendo ad affermare che Gesù era spiritualmente talmente al di sopra dei suoi aguzzini - definiti esseri puramente materiali, totalmente condizionati dalla materia che per loro equivaleva a “ignoranti” - che pur inchiodato sulla croce non avrebbe minimamente sofferto.
Purtroppo per gli gnostici, non si può esorcizzare così facilmente l’enorme potenza della materia; su questo Giovanni dimostra di essere molto più realista degli gnostici pur salvaguardando quell’entusiasmo derivante dalla prospettiva salvivifica che si manifestava particolarmente accentuata nell’elaborazione riflessiva sua e della sua comunità.
La questione dell’incarnazione del Dio Vivente non è una questione marginale: il farsi uomo di Dio e il farsi Dio dell’uomo sono infatti il vero novum storico della weltanschauung maturata in quegli anni, in quella regione del mondo, tra quegli uomini e quelle donne coinvolti dal destino o dal processo evolutivo in quella vicenda di amore e riflessione rappresentato dall’evento Gesù di Nazaret. Da questo punto di vista, tra gli esponenti del cristianesimo gnostico solo Valentino e i suoi seguaci sono su posizioni simili a quelle di Giovanni e la sua comunità.

La definitiva emancipazione del Logos che era in principio dal mondo: la visione della imminente apocalisse

Se nel Vangelo Giovanni in un certo senso riscrive riinterpretando con la nuova concezione del “Logos che era in principio” il primo libro dell’antica Thorà “Il Genesi” con l’Apocalisse scrive poi la seconda parte del suo Vangelo e l’ultimo libro sacro che pone la parola “fine” alla storia della salvezza con il ritorno del risorto dai morti e quindi la visione apocalittica della definitiva emancipazione del logos che era in principio dal mondo.

La parola “Apocalisse” infatti è parola di origine greca che significa letteralmente “Rivelazione”. Il testo giovanneo, che riporta le visioni avute dall’ultimo apostolo sopravvissuto durante il suo forzato esilio nell’isola, venne messo in scritto da lui medesimo o presumibilmente sotto sua dettatura da alcuni suoi collaboratori e discepoli durante il lungo esilio nell’isola di Patmos.

L’autore esordisce nella forma di sette lettere inviate alle sette comunità giovannee dell’asia minore, facenti parte, per così dire nel linguaggio attuale, della diocesi del vescovo di Efeso Giovanni. Si tratta delle chiese di Efeso, Tiatira, Smirne, Sardi, Filadelfia, Pergamo, Laodicea.

Mentre nell’”Inno al Logos” contenuto nel suo Vangelo, Giovanni tratta delle origini della storia di questo mondo, in questo testo tratta dell’ultima fase della storia di questo mondo e della sua imminente e inevitabile fine.

È questo il tema che Giovanni tratta con la sua rivelazione sia pure in un linguaggio visionario e simbolico che a dura prova ha messo le capacità interpretative di tutti coloro che lungo i secoli si sono avvicinati e avvicendati a questo enigmatico testo.

Di 404 versetti, 278 contengono almeno una citazione dell’Antico Testamento.
I libri che hanno maggiormente influenzato l’Apocalisse sono i libri dei Profeti, principalmente Daniele, Ezechiele, Isaia, Zaccaria e poi anche il libro dei Salmi ed Esodo.

Il destino postumo della presenza di Giovanni nelle chiese e nella storia

  • Come si è detto, il IV vangelo attribuito tradizionalmente all’apostolo Giovanni di Zebedeo fu completato in quella che è la sua forma attuale verosimilmente non più tardi del 100 ma se un documento antichissimo mostra che il vangelo era conosciuto in Egitto dal 130, tuttavia nella letteratura cristiana a noi nota c’è poca evidenza del suo uso al di fuori dei circoli gnostici prima del 170. L’unica citazione sicura prima degli scritti di Ireneo di Lione si trova nel testo di Teofilo d’Antiochia Ad Autolycum (ii.22), databile intorno al 170.
  • Ignazio di Antiochia, morto verso il 107, potrebbe essere stato a conoscenza della tradizione teologica giovannea, che secondo alcuni autori avrebbe avuto una fase siriaca o antiochena di sviluppo, ma non cita il vangelo né vi allude; anzi, l’assenza di menzioni di Giovanni nella lettera alla chiesa di Efeso (luogo tradizionale dell’origine del vangelo) fa ancor più dubitare che Ignazio lo conoscesse.
  • Giustino Martire, morto verso il 165, non cita esplicitamente il vangelo, né vi allude con chiarezza, il che è sorprendente se si pensa al suo uso del concetto di logos. Benché questo concetto abbia primariamente affinità con il contemporaneo stoicismo, col medioplatonismo e la tradizione sapienziale giudaica, qualche riferimento al quarto vangelo avrebbe appropriatamente rafforzato l’argomentazione, sia nelle “Apologie” che nel “Dialogo con Trifone Giudeo”. La non utilizzazione del IV vangelo e il silenzio riguardo ad esso nei primi anni del secondo secolo, considerati solitamente “ortodossi”, può indicare sia che il vangelo non era conosciuto, sia che si era esitanti nell’utilizzarlo per qualche sospetto in merito alla sua ortodossia. Le testimonianze disponibili, per quanto scarne, puntano in questa seconda direzione.
  • Tra il II e III secolo appare il primo commentario al vangelo di Giovanni ad opera di quello che a detta di Clemente di Alessandria è il più importante esponente della scuola gnostica Valentiniana: Eracleone, maestro gnostico di cui risulta il suo impegno nell’insegnamento a partire dal 145 fino al 180. Una prova in più di quanta considerazione avesse il mondo variegato dello gnosticismo di matrice cristiana per il pensiero dell’ultimo sopravvissuto e testimone delle originarie vicende del rabbi di Nazareth. A questo scritto fa subito seguito un commentario di Origene, in gran parte stilato proprio in risposta a quello. Mentre nel commentario di Origene il Padre lo si fa coincidere con il Dio ebraico del Vecchio Testamento, per Eracleone invece non è presente questa coincidenza in quanto il Dio degli ebrei, ovverosia Javhè, è solo il Demiurgo, il dio del mondo e non coincide affatto con il Logos giovanneo, caratterizzato come dio del tutto. In questo stesso periodo anche Ippolito di Roma, morto nel 235 e discepolo di Ireneo vescovo di Lione, si è dedicato all’interpretazione dei testi giovannei ma non in maniera così particolareggiata come invece hanno fatto Eracleone ed Origene.
  • Presumibilmente sul finire degli anni 300 è collocabile il “Commentario al vangelo di Giovanni” di Giovanni Crisostomo.
  • Sul finire dell’impero romano e l’annuncio delle invasioni barbariche che taluni interpretano come presagio dell’imminente apocalisse, anche il filosofo Agostino si cimenta in un commentario del testo giovanneo: “In Johannis evangelium tractatus”.
  • Al IV e V secolo è databile la composizione del testo “Atti di Giovanni del diacono Procoro”. Scritto appunto dal diacono greco Procoro, è un romanzo di notevole estensione ( 50 lunghi capitoli) dedicato in gran parte a miracoli compiuti nell’isola di Patmos da Giovanni allorché lì era stato esiliato prima di fare ritorno nuovamente a Efeso per trascorrervi i suoi ultimi anni. L’autore conosceva gli antichi Atti del santo apostolo ed evangelista Giovanni il teologo ma si direbbe che pone molta attenzione a tenersene lontano. L’autore aveva ben poca cultura, forse era un tranquillo presbitero ammogliato appartenente alla chiesa antiochena o palestinese; certo non era né un asceta né un monaco.
  • Tra il V e il VI secolo appare scritto in greco un testo che vuole essere attribuito a Giovanni, dal titolo “Seconda Apocalisse di Giovanni”. In questo testo attestato per la prima volta da Dioniso Trace nel IX secolo, nella forma di una intervista, Gesù Cristo risorto spiega all’apostolo Giovanni i misteri che vuol far conoscere e nuove pratiche da diffondere tra i fedeli. In quanto analogo in parte all’originaria apocalisse di Giovanni, il titolo di “Seconda Apocalisse di Giovanni” gli è stato dato da F. Nau tra il 1908 e il 1914 in appunto ad uno scritto greco contenuto in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi che a sua volta era stato acquistato a Nicosia (Cipro) nel 1671. Il testo potrebbe verosimilmente essere anche più antico, ma la composizione a noi nota si colloca tra il VI e l’VIII secolo.
  • Nel VI secolo sul sepolcro di Giovanni a Efeso viene costruita una Basilica in suo onore ad opera dell’imperatore Giustiniano.
  • Al VI secolo-VII secolo è databile lo scritto “Memorie Apostoliche di Abdia primo vescovo di Babilonia” al cui interno figura un Libro V dedicato alle “Gesta di San Giovanni Evangelista”.
  • Tra il VII e VIII secolo è approssimativamente databile un testo copto sahidico “Misteri che Giovanni, l’apostolo santo e vergine, imparò in Cielo”, il cui originale è conservato al British Museum di Londra, così chiamato dalla frase iniziale del manoscritto. Anche per questo testo è alquanto verosimile che la narrazione, in forma orale o scritta, possa essere più antica.
  • In età carolingia i commentatori di Giovanni di maggior rilievo furono: Alcuino, Claudio di Torino, Rabano Mauro, Valafrido Strabone.
  • Al IX secolo risale invece uno dei più importanti e particolareggiati commentari al solo incipit del vangelo giovanneo ad opera del filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena: “Omelia sul prologo di Giovanni”. Questo scritto che viene ritenuto una delle opere più eminenti della storia della letteratura latina ha tra le altre cose la particolarità che il filosofo si spinge nella sua grande e spassionata considerazione per Giovanni a ritenerlo il rappresentante più evoluto della specie umana addirittura al di sopra degli stessi angeli e delle relative gerarchie sino a dire chiaramente che Giovanni per capire Dio in maniera così profonda doveva essere lui stesso Dio. E a rigor di logica il ragionamento del filosofo medievale è di una intelligibilità immediata.
  • Dalla setta dei Bogòmili (amati da Dio) di Bulgaria fiorita nell’oriente balcanico dal X al XIV secolo, emanazione, al pari dei catari, albigesi e patarini, del manicheismo (sorto in persia nel 216 d.C.), proviene lo scritto “Interrogatio Johannis“.
  • Dell’abate e monaco cistercense in rotta con il suo ordine Gioacchino da Fiore ci è pervenuto un “Commentario dell’Apocalisse” e un “Tractatus super quattuor evangelia”.
  • Tommaso d’Aquino scrisse un “Commentario al vangelo di Giovanni”
  • Meno conosciuta invece è l’opera di uno scienziato riconosciuto come tale che ha voluto cimentarsi in un commentario suo personale dell’apocalisse di Giovanni. Si tratta di Isaac Newton, piu noto ai più per aver legato il suo nome alla elaborazione di una teoria della forza di gravità.

Giovanni e la Tradizione Esoterica

Secondo la tradizione esoterica Giovanni avrebbe ricevuto un insegnamento segreto dallo stesso Gesù e questo insegnamento Giovanni lo avrebbe trasmesso in seguito ad una Chiesa invisibile. Secondo questa concezione, il cristianesimo ufficiale o esoterico, quindi, non sarebbe altro che una volgarizzazione di quell’insegnamento primitivo. Secondo la tradizione esoterica accanto ad una Chiesa di Pietro essoterica ed esteriore esiste invisibile e sotterranea una Chiesa di Giovanni, una chiesa più interiore. Non è quindi un caso che Giovanni è stato ed è il patrono di numerose società segrete. Egli è per esempio tenuto in alta considerazione dalla massoneria.
Delle disavventure del pensiero originario di Giovanni all’interno di questa tradizione esoterica c’è da annoverare per esempio l’esperienza anche se non di importanza rilevante della Chiesa Gioannita, una setta che si rifaceva appunto all’evangelista Giovanni e ai suoi cosiddetti “insegnamenti segreti” che in seguito si è dissolta in un’altra setta denominata “Chiesa Gnostica“.
Sempre per documentare che ne è stato del pensiero di Giovanni dopo la sua morte c’è chi sostiene che questa presunta Chiesa di San Giovanni si sia tramandata in segreto i suoi insegnamenti di generazione in generazione sino ad arrivare ai Templari, che di questa Chiesa sarebbero un’espressione.
In questo campo le voci che circolano sono le più disparate e se possono indurre il profano in materia nella confusione possono comunque dire qualcosa che possa essere qualificata conoscenza invece forse solo allo specialista in materia. Tra le tante ancora quella che vede Giovanni affidare i suoi insegnamenti a Maria Maddalena prima che questa si imbarcasse diretta verso la Francia. Una volta giunta a Marsiglia avrebbe ritrasmesso gli insegnamenti segreti di Giovanni solo ed esclusivamente in linea femminile.
Ovviamente non si può affermare nulla sulla veridicità di quanto qui narrato ma solo sulla veridicità che questi racconti storici, che siano fantasie, leggende o realtà, sono stati comunque prodotti ed abbiano avuto un seguito più o meno numeroso e per più o meno tempo.

Riferimenti a Giovanni in Dante Alighieri

” Questi è colui che giacque sopra ‘l petto

del nostro pellicano, e questi fue

di su la croce al grande officio eletto “

(Divina Commedia - Paradiso XXV, 112-114 )

Ai tempi di Dante, correva voce che l’apostolo Giovanni fosse salito in Cielo in anima e corpo, voce che lo stesso Giovanni sfata nel canto xxv del Paradiso.

“Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec’io a quell’ultimo foco
mentre che detto fu: “Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra ‘l mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ‘l numero nostro
con l’eterno proposito s’agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro.

[...]

…quei che vide tutti i tempi gravi,
pria che morisse, de la bella sposa
che s’acquistò con la lancia e coi clavi “

(Divina Commedia - Paradiso XXV, 118 e XXXII, 127-129)

” Di voi pastor s’accorse il Vangelista

quando colei che siede sopra l’acque

puttaneggiar coi regi a lui fu vista “

(Divina Commedia - Inferno XIX, 106-10 8)

“incominciando

l’alto preconio, che grida l’arcano

di qui laggiù, sovra ad ogni altro bando”

(Dante Alighieri - Paradiso, XXVI, 43-45)

Giovanni e Cristoforo Colombo

Così riferisce l’Abate Ricciotti archeologo e storico del cristianesimo, sulla stima che l’ammiraglio genovese Cristoforo Colombo nutriva per San Giovanni:

” Si narra che Cristoforo Colombo, allorché nelle sue navigazioni era colto da qualche tempesta, usasse collocarsi sulla prora della nave, e là ritto recitasse al cospetto del procelloso mare l’inizio del vangelo di Giovanni: “In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum…omnia per ipsum facta sunt…” Sugli elementi perturbatori del creato risonava il preconio del Logos creatore: era l’esploratore del mondo che commentava a suo modo l’esploratore di Dio..”

(Vita di Gesù Cristo dell’Abate Ricciotti 1941-1962)

Giovanni e l’oriente cristiano

L’oriente cristiano, almeno in alcune sue parti, si è ispirato a Giovanni più dell’occidente. Nella letteratura russa, in particolare, è facile trovare dei filoni giovannei in vicende e personaggi che sembrano pensati come testimonianze delle reali prospettive sovrumane aperte dallo spirito di Giovanni. “L’idiota” di Dotojevskij, ad esempio, la figura di Aljoscia dei “Fratelli Karamazov”, ma anche la vita degli staretz e di molto monachesimo asiatico.

Giovanni in epoca moderna

Nel 1929 appare uno scritto dal titolo “Apocalisse”. Scritto quasi come un testamento spirituale, l’autore è il noto romanziere inglese David Herbert Lawrence (1885-1930).
Lawrence distingue tra Gesù ben descritto dall’apostolo Giovanni autore del quarto vangelo, il vangelo dell’amore, e un Giovanni di Patmos che è invece per Lawrence l’autore della sola “Apocalisse di Giovanni”. L’apocalisse infatti secondo la lettura che ne dà Lawrence risulta un testo carico di odio e di invidia. Di lì a considerare Giovanni, Giovanni di Patmos come lui lo chiama, alla stregua di un secondo Giuda, il passo è breve.
Una sua ipotesi sostiene che la cosiddetta “Apocalisse di Giovanni” in realtà è un rimaneggiamento di un testo originariamente pagano, reso cristiano da Giovanni di Patmos.
Il testo di Lawrence su Giovanni verrà ripreso in un saggio apparso in una prima edizione nel 1978 dal titolo “Introduzione all’Apocalisse di D.H.Lawrence”. Gli autori sono il filosofo francese contiguo ai movimenti dell’anti-psichiatria Gilles Deleuze e Fanny Deleuze. Lo stesso Deleuze ne curerà una seconda edizione riveduta che uscirà nel 1993.

Ispirazioni giovannee nella Teosofia e nel New Age

Tra gli esponenti del movimento teosofico sorto sul finire del XIX secolo a New York da una concezione secondo la quale la religione vera e originaria è una sola e le religioni ufficiali compreso il cristianesimo sono vere anch’esse sì ma soltanto come aspetti parziali di quest’unica religione, movimento di pensiero evolutosi in seguito nella sua versione più moderna nel New Age, Rudolf Steiner pedagogo ed esoterista è il più vicino e sensibile alla figura di Giovanni a cui non ha mancato di dedicare svariate conferenze pubbliche e infine due libri rispettivamente sull’Apocalisse di Giovanni (190 8) e il relativo Vangelo di Giovanni.

Giovanni il Teologo e la psicoanalisi: due prospettive a confronto

Più recentemente, nel ‘900, con l’apparire della nuova scienza dell’inconscio, si è occupata della figura per certi aspetti enigmatica di Giovanni e dei testi giovannei, di una ricchezza di simboli che non ha uguali, anche la psicoanalisi.

Il dottor Jung legge Giovanni

Tra gli psicoanalisti che sono intervenuti, con le loro specifiche competenze sull’inconscio, in questa riflessione ormai bimillenaria sulla figura di Giovanni e le prospettive riflessive a cui aprono i suoi testi, va segnalato in particolare lo stesso Carl Gustav Jung.

Edipo e Cristo

Ancor più recentemente una psicoanalista anch’essa di formazione junghiana, Silvia Montefoschi, dopo la pubblicazione nel 1979 di un testo “Oltre il confine della persona” in cui metteva a confronto la vicenda edipica e la vicenda cristica di cui sono espressione rispettivamente il più antico “mito greco di Edipo“, centrale in psicoanalisi, e il mito di Cristo, pubblica nel 1997 “Il regno del figlio dell’uomo” nel quale sviluppa il discorso precedente mostrando ancor più la continuità evolutiva del discorso cristico e del discorso psicoanalitico grazie proprio alla mediazione di colui che secondo tale interpretazione rappresenta la coscienza cristica al massimo livello e che designa con il termine di “coscienza giovannea”.

Il progetto giovanneo

Sempre in “Il regno del figlio dell’uomo” (1997) dalla lettura attenta e dialogica della psicoanalista con la parola del teologo ed evangelista coglie quello che è il progetto giovanneo nel passare dalla coscienza cristica che è la coscienza della consustanzialità tra il figlio e il padre ovvero tra l’uomo e dio a quella della assoluta identicità tra l’umano e il divino. Questa intuizione è anche la consapevolezza, come progetto, che la consustanzialità sul piano del pensiero sia anche una assoluta identicità sul piano della realtà concretamente vivente.

Così scrive Giovanni:

” E Filippo gli disse: “Facci vedere il padre: ciò sarà sufficiente per noi”
Gesù rispose:
“Da tanto tempo sono con voi e tu, Filippo, non mi hai conosciuto? Chi ha visto me ha visto anche il padre. E tu come puoi dire: “facci vedere il padre”? “

(Giovanni 14,8-9)

E ancora:

“Le parole che io dico a voi non vengono dalla mia mente ma il padre che è in me esprime il suo pensiero. Credetemi: io sono nel padre e il padre è in me.”

(Giovanni 14,10-11)

E nel lavoro di attuazione di questa intuizione giovannea, in cui consta il progetto giovanneo, vede l’ulteriore evoluzione della coscienza cristica alla cui attuazione si sono dati il cambio in maniera sotterranea e esoterica come in una staffetta passandosi il testimone i mistici e i filosofi raggiungendo infine Hegel e individua l’ultimo passaggio del testimone proprio nella psicoanalisi in cui il discorso per la prima volta si manifesta a livello essoterico.
È infatti la psicoanalisi che sin dallo stesso Freud riconosce il femminile come un soggetto attivo anche se inconsapevole di sé, avvicinando così il momento in cui il progetto giovanneo giungerà a compimento e con esso l’immagine di Dio raggiungerà la sua completezza: nel momento in cui anche la figlia si farà simile al padre tutt’uno col padre.
Del resto già Jung aveva individuato nell’immagine trinitaria di Dio propria del cristianesimo una incompletezza e riteneva che per colmarla occorreva una quarta persona che era l’ombra di questo Dio cristiano, ciò che questo dio cristiano non voleva riconoscere in sé e che proiettava fuori di sé come altro da sé. Jung è proprio in questi termini che spiega il simbolo dell’Anticristo, l’”umbra trinitatis” che urge per venire alla luce, essendosi l’opposizione tra i contrari acutizzata al punto da spezzare il mondo in due e che quale metà dell’essere negata fa sì a sua volta che esso neghi che l’essere si dia soltanto nella dualità maschile Padre-Figlio ovvero nella dialettica spirituale Padre-Figlio, sì che l’Anticristo quale autore di questa nuova negazione assume il volto del “maligno”.
L’allieva di Jung tuttavia pur riconoscendosi d’accordo con il suo maestro ritiene che questa persona esiste già compresa nella trinità ed è ciò che tradizionalmente è stato chiamato Spirito Santo quale dio-femmina ovvero quello stesso spirito che consustanziava il Padre e il Figlio. Lo Spirito quale dialettica erotica Madre-Figlia completa cosi l’altra dialettica, la dialettica spirituale Padre-Figlio.

Il seguente articolo è tratto in parte dalla voce su Giovanni il Teologo liberamente modificabile dell’Enciclopedia Libera Mondiale Wikipedia a cui io stesso ho collaborato a redigere, successivamente rielaborata e integrata con nuova documentazione e ulteriori riflessioni sulla vicenda del grande teologo.